Normativa codicistica delle misure di protezione
delle persone prive in tutto o in parte di autonomia
(a cura dell’avv. Marina Verzoni)
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Il Codice civile prevede agli artt. 404 e seguenti alcune misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, che sono pertanto applicabili anche alle persone malate di Alzheimer. Prima di introdurre gli istituti disciplinati dal codice (amministrazione di sostegno e interdizione) esaminiamo i concetti di capacità giuridica e capacità di agire ad essi strettamente legati.
La capacità giuridica è l’idoneità di una persona ad essere titolare di diritti, potestà obblighi e doveri. Essa è riconosciuta dalla legge ad ogni persona fisica vivente.
Tale capacità si acquisisce con la nascita (cfr. art. 1 codice civile) e comporta dunque che anche i neonati, i minorenni o gli incapaci possano essere titolari, ad esempio, del diritto di proprietà di un bene.
Articolo 1 - Capacità giuridica
La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita .
Diversa dalla capacità giuridica è la capacità di agire, vale a dire l’idoneità del soggetto a manifestare validamente la propria volontà per acquistare o esercitare diritti, assumere obblighi e compiere atti giuridici.
La capacità di agire si acquista con la maggior età (cfr. art. 2 codice civile) e si conserva di regola fino alla morte. Tale capacità è strettamente legata all’idoneità del soggetto a curare i propri interessi.
Articolo 2 - Maggiore età. Capacità di agire
La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa .
Nel caso di una persona affetta dal morbo di Alzheimer, mentre conserva la capacità giuridica, con il decorso della malattia questa persona viene a trovarsi in una situazione di infermità che la rende incapace di provvedere ai propri interessi.
Di fatto sono spesso i familiari che provvedono per suo conto, assumendo il ruolo di “tutori”, ma tale situazione di fatto non è riconosciuta dal punto di vista giuridico, con la conseguenza che i familiari potrebbero non poter compiere validamente un atto necessario alla persona malata.
Né d'altra parte gli atti compiuti dalla persona malata potrebbero essere riconosciuti validi, attesa l’incapacità di questa persona a tutelare i propri interessi. La controparte del rapporto o il soggetto che deve darne esecuzione (ad esempio il notaio in caso di una donazione o nella vendita di un immobile, od un operatore di banca) potrebbe rifiutarsi di compiere un atto con una persona che, pur essendo dotata dal punto di vista formale della capacità di agire, risulti di fatto impossibilitata a provvedere ai propri interessi. Senza considerare poi il grave rischio che il malato agendo disperda il proprio patrimonio.
A queste ipotesi di incapacità di agire si collegano le ipotesi di incapacità legale e gli istituti di protezione disciplinati dal Codice civile.
Vediamo quindi più nel dettaglio quali sono le misure di protezione previste dall’ordinamento in favore delle persone prive in tutto od in parte di autonomia.
L’amministrazione di sostegno
Legge 9 gennaio 2004, n. 6 “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali.” (G. U. n. 14 del 19.1.2004)
La legge di recente introduzione, modificando alcuni articoli del codice civile ed alcune disposizioni attuative dello stesso ed altre norme collegate, dispone che la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal Giudice tutelare del luogo in cui la persona stessa ha la residenza o il domicilio.
La finalità della legge è quella di tutelare - con la minore limitazione possibile della capacità di agire - le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (cfr. art. 1 della legge) e di limitare quindi il ricorso agli istituti tradizionali (interdizione ed inabilitazione che verranno nel seguito descritti) che si traducono in pratica nell’imposizione di limiti alla capacità di autodeterminazione del soggetto.
Con l’amministrazione di sostegno, il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano l’assistenza necessaria dell’amministratore e, in ogni caso, per gli atti necessari alle esigenze della propria vita quotidiana.
Come risulta dai lavori preparatori del provvedimento, è maturata nel legislatore la consapevolezza che, accanto agli istituti tradizionali, è necessario prevedere una figura che abbia funzione non tanto “sostitutiva” ma di sostegno, e che intervenga non nella totalità degli atti che la persona assistita è chiamata a compiere (interdizione), e nemmeno in un ambito di categoria predefinita (inabilitazione), ma solamente in quegli atti per i quali la situazione concreta suggerisce una presenza vicariante.
Questa figura è stata individuata nell’amministratore di sostegno, nominato da un Giudice con una procedura semplificata e senza spese giudiziali.
Il procedimento di nomina
L’amministratore di sostegno viene nominato dal Giudice tutelare del luogo in cui il beneficiario ha la residenza o il domicilio (art. 404 c.c.) su ricorso del beneficiario medesimo ovvero del coniuge, della persona stabilmente convivente, dei parenti entro il quarto grado (fratelli, sorelle, nonni, zii, cugini, purché maggiorenni), degli affini entro il secondo grado (cognato), o del pubblico ministero (art. 406 c.c.).
Nell’ipotesi che ci occupa, la stessa persona beneficiaria sapendo di essere affetta da un’infermità degenerativa come l’Alzheimer, può chiedere la nomina dell’amministratore di sostegno, facendo direttamente istanza al Giudice tutelare.
Il Giudice tutelare provvede, entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, alla nomina dell'amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo (art. 405), dopo aver sentito personalmente la persona cui il procedimento si riferisce.
Il decreto di nomina deve contenere, oltre alle generalità del beneficiario e dell’amministratore di sostegno e la durata del suo incarico, l’oggetto dell’incarico e gli atti che quest’ultimo ha il potere di compiere, gli atti che il beneficiario può compiere da solo con l’assistenza dell’amministratore, i limiti anche periodici delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con l’utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità e la periodicità con cui l’amministratore stesso deve riferire al giudice circa l’attività svolta e circa le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Il giudice tutelare, inoltre, può convocare in qualunque momento l’amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie sulla gestione e dare istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del beneficiario (art. 44 disp. att.).
Poiché la scelta dell'amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del beneficiario, la legge dispone che l'amministratore può essere indicato dallo stesso interessato, anche se interdetto o inabilitato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 408 c.c.).
Nella scelta dell’amministratore di sostegno, il Giudice tutelare preferirà, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado.
La legge prevede inoltre che possano essere amministratori anche i legali rappresentanti dei soggetti di cui al Titolo secondo del Libro primo del codice civile e cioè le fondazioni e le associazioni. Non possono, invece, ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona hanno peraltro uno specifico dovere di proposta del ricorso al Giudice tutelare se a conoscenza di fatti tali da renderne opportuna l’apertura del procedimento, o comunque di informazione al pubblico ministero (art. 406 c.c.), e questa legittimazione/dovere è una novità introdotta dalla legge.
Compiti dell’amministratore di sostegno
Il Giudice tutelare, nel suo provvedimento, individua e definisce gli atti che il beneficiario può compiere solamente con l’assistenza dell’amministratore, l’oggetto dell’incarico e i limiti della spesa, di modo che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti non riservati dal Giudice all’amministratore di sostegno.
Nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e tempestivamente informarlo circa gli atti da compiere. Deve altresì informare il Giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario. Inoltre, la legge stabilisce che in ogni caso il beneficiario può compiere da solo tutti gli atti “necessari a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana” (art. 409 c.c.), con evidente tutela della dignità del beneficiario.
L’ufficio di amministratore di sostegno, a meno che non si tratti di un parente o del coniuge o della persona stabilmente convivente, dura dieci anni (art. 410 c.c.).
A tutela degli interessi del beneficiario, l’art. 412 c.c. stabilisce che gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno o dal beneficiario in violazione delle leggi o delle disposizioni contenute nel decreto di nomina, possono essere annullati entro cinque anni dal loro compimento, anche ad istanza degli stessi.
Responsabilità dell’amministratore di sostegno
All’amministratore di sostegno si applicano le norme relative alla responsabilità del tutore (vedi paragrafo successivo) e all’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento di determinati atti (v. oltre artt. 374 e 375 c.c. ). Queste disposizioni hanno lo specifico scopo di garantire la conservazione del patrimonio del beneficiario. L’amministratore di sostegno, del resto, non agisce con piena e insindacabile autonomia, ma si rapporta costantemente con il beneficiario, al quale deve assidua informazione, dei cui bisogni deve tener conto e della cui volontà non può prescindere.
Cosa accade se l’amministratore di sostegno non rispetta i limiti e gli obblighi imposti?
L’art. 413 c.c., nel regolare la revoca dell’amministrazione di sostegno, dispone che il beneficiario, l’amministratore di sostegno ed il pubblico ministero o gli altri soggetti richiamati (coniuge, persona stabilmente convivente e parenti), qualora ritengano che siano venute meno le condizioni per la permanenza di questa figura, possono rivolgersi al Giudice tutelare per la revoca o sostituzione. Il Giudice provvederà dopo aver acquisito le necessarie informazioni e le opportune prove. Il Giudice tutelare può provvedere, anche d’ufficio alla revoca quando l’amministrazione si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario e in tale ipotesi, se ritiene di promuovere il giudizio d’interdizione o di inabilitazione, informa il pubblico ministero.
E’ possibile anche il passaggio da interdizione ad amministrazione di sostegno: nel corso del giudizio di interdizione (o inabilitazione), il Tribunale, qualora ritenga opportuna l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, può trasmettere gli atti al Giudice tutelare. La possibilità di scelta rimessa al Giudice anche nel corso dei vari giudizi tra i diversi istituti di interdizione o inabilitazione, oltre che successivamente, consente una gradualità dell’intervento protettivo.
L’interdizione
Vi possono essere dei casi in cui i limiti alla capacità di agire siano tali da rendere inidonea l’amministrazione di sostegno. A queste ipotesi di incapacità di agire si collega la tutela prevista dall'ordinamento rispettivamente con l’istituto dell’interdizione e dell’inabilitazione.
A seguito dell’introduzione dell’amministrazione di sostegno l’utilizzo della misura dell’interdizione dovrà essere limitato, come visto, ai casi di maggiore gravità, quando cioè sia necessario per la protezione della persona priva di autonomia e quindi per i casi di persone affette da gravi disabilità, specie di tipo psichico o di demenza progressiva.
Per quanto concerne l’interdizione, la legge dispone (cfr. art. 414 c.c.) che i maggiori di età che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere
ai propri interessi sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.
Vediamo cosa si intende con tale terminologia.
Per l’esistenza dell’abituale infermità di mente non è necessario che la malattia mentale sia accompagnata da manifestazioni demenziali o che importi un totale sconvolgimento della mente, ma è sufficiente che esista una patologica alterazione psichica tale da rendere il soggetto del tutto incapace di provvedere ai propri interessi. In tal modo potrà essere interdetto chi, all’esame, non sia in grado di indicare la propria data di nascita, non appaia orientato nel tempo o non conosca il valore delle banconote mostrate.
Il concetto di “abitualità” indica poi uno stato di malattia duraturo, da non confondersi con la continuità, potendo l’infermità essere anche saltuaria ed intermittente: l’esistenza di intervalli di lucidità non ostacolerà quindi la pronuncia di interdizione.
La normativa potrebbe in linea teorica apparire punitiva e discriminante, in realtà, grazie alla sensibilità ormai diffusa per la disabilità, anche lo strumento dell’interdizione viene percepito con funzione di tutela per i soggetti destinatari.
Il procedimento d'interdizione
L’incapacità legale dell’interdetto deriva esclusivamente da un accertamento giudiziario, che sfocia in una sentenza costitutiva annotata nei registri dello stato civile.
Chi può agire? Secondo l'articolo 417 del codice civile, l’azione d’interdizione può essere promossa, oltre che dal diretto interessato, dal coniuge e dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado rispetto all'interdicendo (fratelli, sorelle, nonni, zii, cugini, purché maggiorenni), dagli affini entro il secondo grado (cognato) e dal Pubblico Ministero, che riceve
segnalazione dai Servizi Sociali o da altre persone che siano a conoscenza di una situazione che rende necessaria la tutela.
Il procedimento d’interdizione si instaura mediante ricorso, atto in cui devono essere descritte le condizioni di vita della persona, allegando certificazioni mediche, anagrafiche e relazioni psico - sociali. Competente a decidere sulla domanda è il Tribunale del luogo dove l’interdicendo ha la residenza o il domicilio (art. 712 c.p.c.); in seguito alla legge sull’amministrazione di sostegno il procedimento di interdizione è senza spese giudiziali.
I parenti della persona malata di Alzheimer devono necessariamente appoggiarsi ad un legale per avviare un procedimento di interdizione?
Il codice di procedura civile ammette solo eccezionalmente la possibilità di stare in giudizio personalmente, e nei casi previsti non rientra il procedimento d’interdizione davanti al Tribunale.
I parenti della persona incapace potrebbero però non affidarsi ad un legale, inoltrando direttamente la richiesta al Pubblico Ministero, il quale però in questo caso non è obbligato a procedere. Qualora il Pubblico Ministero decida invece di promuovere il procedimento di interdizione, la famiglia non sarà tenuta ad appoggiarsi ad un legale.
Perché comunemente, invece di promuovere un'azione di interdizione con l'assistenza di un legale, non si segnala semplicemente il caso al Pubblico Ministero? La risposta va ricercata nella difficoltà di molti familiari ad affrontare da soli la procedura e quindi nella necessità di essere sostenuti da un esperto in materia.
Mancando una corretta informazione, il familiare non sa infatti come redigere la domanda, a chi indirizzarla, cosa si deve allegare per porre il Pubblico Ministero in condizione di riconoscere la fondatezza della segnalazione. A fronte di tutto ciò il familiare preferisce prevalentemente farsi assistere da un legale che si occuperà di seguire l'istanza passo dopo passo.
Il ricorso viene depositato in Cancelleria, e in seguito a tale deposito il Tribunale fisserà un'udienza (art. 713 c.p.c.). L'udienza serve al Giudice per esaminare la reale capacità del soggetto interessato e in questo esame il Giudice può farsi assistere da un consulente tecnico (art. 714 c.p.c.).
Al termine dell'udienza il Giudice, se ritiene acquisito l'accertamento sull'incapacità della persona interessata, nomina un tutore provvisorio (art. 717 c.p.c.).
Generalmente questa persona è un parente che si rende disponibile. In mancanza di soggetti idonei e disponibili tra i parenti, il Giudice nominerà un estraneo, designato dai parenti o indicato dal Giudice stesso (professionista, volontario o ente pubblico) e rinvierà la causa per ulteriori incombenze formali.
Dopo circa un anno dal deposito del ricorso, verrà pronunciata la sentenza di interdizione, alla quale seguirà la nomina del tutore definitivo (nella maggior parte dei casi viene confermata la persona già nominata come tutore provvisorio).
Nomina e compiti del tutore
Il tutore è colui che ha la cura della persona interessata, la rappresenta nel compimento di tutti gli atti della vita civile, ad eccezione di quelli che costituiscono esercizio di diritti personalissimi che non potranno comunque essere compiuti (es. fare testamento, contrarre matrimonio) e ne amministra i beni (art. 357 c.c.).
La nomina di un tutore è richiesta, a titolo esemplificativo, per:
- aprire un conto corrente bancario intestato all'incapace e compiere operazioni bancarie;
- riscuotere la pensione d'invalidità e l'indennità di accompagnamento;
- porre in essere eventuali rapporti con enti pubblici, quali Comune, INPS, ASL, per conto dell’interessato;
- raccogliere il consenso informato per le cure mediche e le operazioni chirurgiche dell’interessato.
Il tutore viene scelto dal Giudice tra le seguenti persone (art. 348 c.c.):
- prossimi parenti del tutelato (coniuge, figlio, zio, cugino);
- rappresentante legale dell'ente di assistenza presso cui il soggetto è assistito;
- un volontario;
- un professionista (nella maggior parte dei casi un avvocato);
- un funzionario pubblico (cd. tutela pubblica: il sindaco del Comune o il direttore dell'ASL, con possibilità di delega a funzionari dell'amministrazione).
L'incarico del tutore è obbligatorio (salvo dispensa nei casi previsti dalla legge) e gratuito, fatto salvo il diritto ad un'equa indennità, proposta dal Giudice, nel caso di amministrazione di patrimoni di notevole entità (art. 379 c.c.).
L'incarico non può essere imposto per un periodo superiore a dieci anni, salvo che il tutore non sia il coniuge, la persona stabilmente convivente o un parente (art. 426 c.c.).
Il tutore ha l’obbligo di redigere l’inventario di tutti i beni dell’interessato e di rendere conto del proprio operato al Giudice tutelare (artt. 362 e ss.).
I principali compiti del tutore sono quindi:
- la cura della persona incapace, intendendosi con tale termine la cura degli interessi della persona: richiedere un servizio o una prestazione all’ente preposto, vigilare affinché questo servizio sia erogato correttamente, agire nel momento in cui il servizio è erogato parzialmente o è assente ;
- la rappresentanza negli atti civili e l'amministrazione dei beni dell'incapace;
- la redazione dell'inventario dei beni del tutelato, vale a dire ricercare e verificare tutte le sostanze economiche di cui dispone il tutelato, ciò al fine di evitarne la dispersione. Il tutore ha titolo per andare in banche e enti pensionistici o dove ritiene che possano esserci delle sostanze di proprietà del tutelato e chiederne la relativa documentazione, in quanto agisce in nome e per conto del tutelato del quale ha la rappresentanza legale;
- la redazione di un rendiconto annuale delle entrate e delle spese sostenute;
- la richiesta di autorizzazione al Giudice per i singoli atti di particolare rilevanza.
A quest’ultimo riguardo, il tutore non può senza l'autorizzazione del Giudice tutelare:
1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l'uso del tutelato, per l'economia domestica e per l'amministrazione del patrimonio.
2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento e per l'ordinaria amministrazione del patrimonio;
3) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni;
4) fare contratti di locazione d'immobili oltre il novennio;
5) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi. (art. 374 c.c.)
Ed inoltre, il tutore non può senza l'autorizzazione del Tribunale :
1) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento ;
2) costituire pegni o ipoteche ;
3) procedere a divisione o promuovere i relativi giudizi ;
4) fare compromessi e transazioni o accettare concordati.
L'autorizzazione è data su parere del Giudice tutelare (art. 375 c.c.).
Responsabilità del tutore
Il tutore deve amministrare il patrimonio dell’incapace con la diligenza del buon padre di famiglia. Ciò significa che egli risponderà dei danni eventualmente arrecati al patrimonio anche qualora abbia agito con colpa lieve.
In particolare, il tutore è responsabile:
- nei casi di violazione dei doveri inerenti all'amministrazione del patrimonio dell'interessato. Il tutore risponde dei danni qualora non abbia agito in modo diligente o abbia agito in modo imprudente, in questi casi il Giudice può disporre anche la revoca dall'incarico;
- per i fatti illeciti compiuti dal tutelato (danni arrecati a cose o persone, art. 2047 c.c.).
All’atto del giuramento (art. 349 c.c.), il tutore può indicare la persona da nominare come protutore e chiedere al Giudice di convocarlo per prestare a sua volta giuramento.
Il protutore rappresenterà l'incapace sia nei casi in cui l'incapace è in conflitto di interessi con il tutore, sia nei casi in cui il tutore sia impossibilitato a svolgere la propria funzione (per es. per malattia).
Gli atti compiuti senza l’intervento o l’assistenza del tutore sono annullabili (artt. 427 e 1425 c.c.) e la relativa azione può essere esercitata oltre che dal tutore e dall’interdetto, dai suoi eredi o aventi causa, entro il termine di cinque anni (art. 2934 c.c)
Per completezza nell’esposizione, si rileva che oltre all’amministrazione di sostegno e all’interdizione, la legge prevede anche l’istituto dell’inabilitazione, che presuppone un’infermità di mente non talmente grave da dar luogo all’interdizione.
Mentre per l’interdizione si richiede l’incapacità di provvedere ai proprio interessi intesi in senso lato, per la curatela che consegue all’inabilitazione l’incapacità riguarda quasi esclusivamente gli interessi economici. L’inabilitato potrà compiere validamente tutti gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione avrà bisogno dell’intervento del curatore (sono atti di straordinaria amministrazione quelli che modificano la struttura e la consistenza del patrimonio). L’inabilitazione viene generalmente promossa quando, in presenza di un’infermità mentale media, vi sia una positiva reazione ai trattamenti sanitari, che facciano presumere miglioramenti che escludano pericoli di gravi danni alla persona e al patrimonio.
Appare invece più opportuno propendere per l’interdizione quando a ridotte capacità intellettive si accompagnino anche patologie fisiologiche che rendano la persona incapace di provvedere ai propri interessi.Per i suoi presupposti, l’istituto dell’inabilitazione sembra aver minor rilievo nei casi di malati di Alzheimer, dove la persona necessita di essere curata ed assistita non solo nei propri interessi patrimoniali , ma anche per le proprie esigenze fondamentali di vita. Dopo l’introduzione dell’amministrazione di sostegno, tra l’altro, la figura dell’inabilitazione sembra aver perso la sua importanza.
(da Il quaderno del caregiver n.3 di AIMA Milano Onlus)
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